am Ziel

Posted in [comunicazioni di servizio] with tags on marzo 15, 2008 by Simone Aglan-Buttazzi

Kitsch è on line. Questa è la nuova collocazione – definitiva – del blog. C’è (quasi) tutto, compresi i file caricati a destra e a manca in quarantotto mesi di scrittura e condivisione.

Nel corso del 2007 Kitsch ha registrato qualcosa come 150.000 contatti nonostante i disservizi della piattaforma bloggers.it che da luglio in poi hanno reso praticamente impossibile l’accesso al sito.

La migrazione è stata resa possibile da Matteo di Smemoratezze del sottosuolo, che ringrazio di cuore.

[Dal 2020 le orecchie son tornate, stanno qui].

P.S. Kicz è Kitsch in polacco.

miracles of life

Posted in orecchie trovate nei prati on gennaio 26, 2008 by Simone Aglan-Buttazzi

James Graham Ballard sta male. Il cancro alla prostata lo sta portando via. Il 4 febbraio esce in Inghilterra il suo nuovo libro, Miracles of Life. E’ un’autobiografia che si riallaccia a due dei romanzi più famosi di Ballard, L’impero del sole (1984) e La gentilezza delle donne (1991), entrambi ricavati dai suoi anni passati a Shangai prima di recarsi a Shepperton, UK. J.G. Ballard è a mio modesto parere uno dei pochi autori davvero imprescindibili ancora in vita. In cinquant’anni di intensa attività letteraria, Ballard è passato dalla fantascienza pura (i suoi racconti sono splendidi ancora oggi) a una serie di romanzi scardinanti, "new dada", tramite i quali Ballard ha lanciato uno sguardo allora inedito e tuttora imbattuto sul presente. Il nostro qui e ora. Con La mostra delle atrocità, Crash, L’isola di cemento, Il condominio, via via fino a Un gioco da bambini, Cocaine Nights, Super Cannes, Millennium People e Regno a venire, Ballard ha cantato la bellezza dei videoregistratori nelle vetrine, delle macchie d’olio sotto le macchine, ha dissezionato la nostra voglia di uccidere e il fascino zombificante dei centro commerciali. Contemporaneista orgoglioso e caustico, profeta sardonico ma mai azzardato nei suoi moniti e nei panorami che ha descritto a partire dal mondo che lo (ci) circonda – quasi sapesse leggere tra le rughe degli oggetti più banali, ma anche più emblematici – Ballard è stato spesso accusato di sciatteria letteraria. Basta leggere alcuni estratti di Miracles of Life che circolano in rete per rendersi conto di quanto la sua prosa, e non solo stavolta, possa vantare tutta l’energia e tutto lo stupore naif di un quadro di Paul Delvaux (il suo artista prediletto). L’energia di chi sguazza nell’oggi e non presuppone un domani. Perché è già suo.

parola non parola

Posted in orecchie trovate nei prati on gennaio 23, 2008 by Simone Aglan-Buttazzi

Ogni anno, in dicembre, la Gesellschaft für deutsche Sprache di Wiesbaden sceglie il Wort des Jahres, la parola dell’anno. Una tradizione che prosegue da trent’anni esatti. Esempi di parola dell’anno: Klimakatastrophe (2007), Bundeskanzlerin (2005), Das alte Europa (la vecchia Europa, 2004), Teuro (gioco di parole tra "euro" e "teuer", costoso, quindi: "l’euro che fa impennare i prezzi", 2002). La parola dell’anno, di solito, emerge spontaneamente: è il concetto più chiacchierato dell’annata, meglio se neologismo. Ovvio, a volte è azzeccata, altre meno. Bastian Sick, nel primo volume della sua furbastra serie Der Dativ ist dem Genitiv sein Tod – più o meno letteralmente: Il dativo è del genitivo la morte sua, da una fortunata rubrica sugli usi, gli abusi e i misteri della lingua tedesca – sostiene ad esempio che la Wort des Jahres del 2004 avrebbe dovuto essere Erdloch (buco nella terra, lo stesso dove venne trovato Saddam), ma per forza di cose la GfdS, che "esterna" a metà dicembre, non ne poteva ancora sapere nulla. Per completezza di informazione va detto che anche l’Austria e la Svizzera hanno le loro Worte des Jahres, diverse da quella tedesca.

Dal 1991 si sceglie anche l’Unwort des Jahres, cioè a dire la non-parola dell’anno. Se il Wort risponde a criteri di novità e pregnanza, l’Unwort rispecchia il cosiddetto politically incorrect. Anzi, peggio. E’ una parola che esiste ma che non dovrebbe esistere, perché socialmente, moralmente, politicamente dannosa. Inizialmente, la GfdS sceglieva anche l’Unwort, ma dal 1994 la giuria specializzata si è resa indipendente (!). L’Unwort viene proclamata a metà gennaio, e come nel caso del Wort ogni Paese di lingua tedesca ha la sua non-parola dell’anno. Altra differenza con il Wort: da quando internet è divenuto un medium di massa, la scelta dell’Unwort avviene tramite sondaggio popolare a partire da alcune non-parole candidate.

Esempi di Unwort: ausländerfrei (senza stranieri, cioè senza immigrati, 1991), ethnische Säuberung (pulizia etnica, 1992), Kollateralschaden (danni collaterali: i civili morti in Kosovo, 1999), Gotteskrieger (guerre per conto di Dio, 2001), freiwillige Ausreise (ritorno a casa volontario, 2006), Herdprämie (soldi per le famiglie che non vogliono mandare i figli a scuola e che intendono occuparsi personalmente della loro educazione: fuor di metafora, Padre padrone, 2007). Ogni due per tre, l’Unwort viene prelevata dal lessico della NPD o da quello dei guerrafondai. Da notare, nel minireferendum per l’Unwort 2007, il ritorno dell’aggettivo "entartet", "degenerato", di solito messo accanto alla parola arte – un vecchio concetto goebbelsiano. Nel settembre dell’anno scorso, infatti, il cardinale di Colonia Joachim Meisner se ne uscì infelicemente con una sparata rivolta alla "entartete Kultur" dei giorni nostri. Probabilmente teneva anche una pistola nel sottanone.

radio varsavia

Posted in orecchie trovate nei prati on gennaio 20, 2008 by Simone Aglan-Buttazzi

L’ultimo appello è da dimenticare?

neukölln

Posted in alexandrinenstraßeachtundneunzig on gennaio 18, 2008 by Simone Aglan-Buttazzi

In "Heroes", pubblicato nel tardo 1977, David Bowie dedica uno dei pezzi strumentali al Bezirk di Neukölln, relativamente vicino al suo appartamento di Schöneberg, tra Kreuzberg e Tempelhof. La Neukölln di Bowie è notturna, dolente, straziante. Secoli addietro, il villaggio di Neukölln era l’originale "Berlino est", con il nucleo occidentale costituito da Spandau. Con lo sviluppo della città, Spandau è rimasta a se stante, nel profondo ovest, e sono nati molti quartieri a est (soprattutto a nord-est) di Neukölln, tanto che dopo la guerra, al momento della spartizione della città, Neukölln restò in mano angloamericana. Fino all’89, questo sconfinato Bezirk – il più grande di tutta Berlino – è stato, insieme al piccolo Kreuzberg, il terzo mondo del settore occidentale. Il cuore dell’ovest pulsava attorno allo Zoo e pompava alta borghesia e denaro. Kreuzberg e Neukölln, quartieri di confine, arrancavano con le loro belle pezze al culo. E se Kreuzberg è tuttora un quartiere "hip" per via dei molti locali, del fascino bohemien e della storia "sozial" pur in un contesto non socialista, Neukölln, priva di attrazioni turistiche, con le sue stradine maccadamate, è rimasta un enorme contenitore residenziale. Povero. E connotato, come Kreuzberg, da un’altissima presenza turca.

Il grafico soprastante distribuisce i "criminali recidivi" arrestati a Berlino nel 2007 a seconda del Bezirk di appartenenza; la torta ne illustra l’età. Neukölln svetta senza rivali, seguita da sei ex Bezirke occidentali. Il primo ex quartiere della DDR a comparire è Hohenschönhausen, che ospitava il carcere della Stasi. Segue il malfamato – ma perché? – Marzahn, via via fino al quieto Mitte, cuore della città dove si trovano i palazzi della politica e le ambasciate. Un altro quartiere dalla pessima fama, Pankow, la violenza di strada manco sa cosa sia.

A colpire è anche il grafico a torta, che sottolinea l’allarme giovinastri già lanciato dal governo, con tanto di proposta delirante di istituire boot camps di rieducazione. Il caso Neukölln è noto da tempo, anzi, è già leggenda. Un discreto film del 2006, Knallhart – letteralmente: osso duro – narra di un teenager della borghese Zehlendorf che si trasferisce con la famiglia a Neukölln, subisce angherie di ogni tipo fuori e dentro la scuola e alla fine, per necessità, diventa un assassino. I giornali di pochi giorni fa rimbalzavano la notizia concernente tale dj Massiv, un armadio turco con catenine, che all’uscita di un club è stato aggredito dalla mala e per poco non inghiottiva pallottole come 50 cent. Ovviamente a Neukölln, lungo la Karl Marx Straße, principale arteria del girone. Ciò non toglie che Neukölln meriti sempre una visita, e una lunga passeggiata.

lenting

Posted in cruccate bastarde on gennaio 16, 2008 by Simone Aglan-Buttazzi

il vicino

Posted in orecchie trovate nei prati on gennaio 14, 2008 by Simone Aglan-Buttazzi

Si chiama The Air Is On Fire ed è una mostra in giro per il mondo che ha mosso i primi passi alla Fondazione Cartier di Parigi, da sempre appassionata di croste e scatti lynchiani. E dico croste non perché siano malvage, anzi. Negli ultimi anni l’uomo di Missoula, Montana, si è dato con fervore a una pittura che mischia soggetti cinematici con materiali à la Prampolini, ovvero, banalmente, l’uso di oggetti e materiali "grossi e grossolani" sulla tela. Grumi di pittura. Scarpe e pantaloni incollati. Rametti dipinti di rosso e conficcati sul soggetto per rappresentare fiotti di sangue. Lynch ha un personaggio ricorrente, tale Bob – lo stesso di Blue Bob? – che si trova nelle situazioni più disparate. A volte incontra il capufficio (un mostro con dadi che fluttuano nella panciona trasparente) altre volte gli esplode il petto in un negozio vuoto, con la vetrina che dà sulla high street. Trattasi di tele piuttosto lettriste, in cui i titoli o i vaneggiamenti dei soggetti vagano sulla superficie dipinta come le lettere di The Alphabet, il suo corto del 1970. Vagando per The Air Is On Fire s’incontrano questi e altri quadri, montati su strutture metalliche aventi enormi tendaggi monocromi come sfondo. I dipinti più datati sono grigio-neri, e il tema ricorrente è la caa minacciata da una presenza esterna non ben identificata.

Tra le foto, oltre a nudi dada à la Man Ray immersi nel fumo – o che emettono fumo – ci sono panorami e dettagli industriali scattati in Polonia e sul confine con la Germania al tempo delle riprese europee di INLAND EMPIRE. E ancora: un salotto degno di Rabbits, un’installazione improvvisata con l’estintore in loco, pulsanti che sprigionano  droni e suoni metallici, una ridda di materiali vari (bigliettini, dattiloscritti, giringiri di matita) testimoni di cosa gli è passato per la testa più o meno tra il 1975 e il 1995. Last and best: una saletta cinematografica allestita come il palcoscenico della Radiator Lady di Erasehead, con un programmino da leccarsi i baffi. Cioè a dire: Six Figures Getting Sick, The Alphabet, The Grandmother e il meglio della sua produzione internettiana: gli otto episodi di Dumbland, The Darkened Room, Boat e alcuni esperimenti in digitale.

Menzione speciale merita Out Yonder Neighbor Boy, corto girato nel giardino di casa (dove sennò?) con suo figlio ormai cresciuto: l’ultima volta l’avevamo visto nell’episodio IX di Twin Peaks, nei panni del "bambino col mais nelle mani". Il video è in bianco e nero. Lynch senior e Lynch junior stanno seduti tutto il tempo e parlano con le loro vocette stridule rese ancora più stridule, per tacere del letale accento del Mid-West e di un ricorso volontario e fumettistico al verbo "to be" non coniugato. Nei dieci minuti di Neighbor Boy succede questo: i due parlano a vanvera, citano il figlio del vicino e la carenza di latte, d’improvviso arriva il succitato figlio del vicino nella forma di un’ombra (digitale) gigantesca che se ne va dopo aver loro rubato il latte residuo. Alla fine arriva udiamo passare la cavalleria. Qua si trova un breve assaggio del video: un’autentica chicca per chi ama il Lynch corto e selvaggio, che ha ritrovato nella rete l’ispirazione delle origini.

no martini, no party

Posted in orecchie trovate nei prati on gennaio 9, 2008 by Simone Aglan-Buttazzi

Emanuela Martini non dirige più Film Tv. Nemmeno collabora più con la rivista che ha visto nascere nel gennaio 1993 e di cui è stata a lungo la firma trainante. Sotto la sua direzione Film Tv era diventato molto più dell’ "unico settimanale di cinema", come recita lo slogan del giornale. Era diventata la migliore rivista di cinema italiana, per quanto ne so io un caso unico in Europa – un po’ come Fuori orario. Fino all’anno scorso (e ne abbiamo parlato proprio un anno fa) Film Tv raccoglieva firme prestigiose nella "gabbia" di un giornale razionale, di servizio, che offriva informazioni preziose e riflessioni (quasi) mai banali o superflue. Per un settimanale a un euro e cinquanta la cui seconda metà della foliazione è dedicata ai programmi televisivi, un miracolo. Col nuovo anno, Emanuela Martini non c’è più. A dirigere la rivista è il buon vecchio Aldo Fittante, celentanofilo sfegatato, che per arginare il negativo effetto sorpresa e – a quanto pare – l’ondata di messaggi basiti e delusi, ha scritto un editoriale. Peccato che detto editoriale sia retorico, traballante, fumoso. Il suo unico merito è di mettere nero su bianco i nomi che hanno abbandonato la rivista: oltre alla Martini, Gianni Amelio, Goffredo Fofi, Alberto Crespi, Gualtiero De Marinis, Pier Maria Bocchi, Morando Morandini, Emiliano Morreale, Bruno Fornara, Federico Pedroni. Un singolo addio, anche se di peso, è comprensibile. Un’emorragia, no. E lo scalino tra la vecchia e la nuova gestione si sente, anzi: è uno scalone maroniano. Dal pieno al vuoto, dal pregno all’inconsistente. Dal canto mio, posso dire di essermi formato su Film Tv in quindici anni tondi tondi di acquisti diretti e delegati in mia assenza, di non essermi perso un numero, di aver letto ogni issue armato di un’acquolina in bocca mai delusa. Col numero 2, anno 16, la mia collezione si tronca. Parola di collezionista, direbbe Tibor Fischer.

due

Posted in cose serie on gennaio 6, 2008 by Simone Aglan-Buttazzi

Odin, detto anche dottor Odini, detto anche Amorselvoblödolo, detto anche Selvo, detto anche Patalone, detto anche Odie, detto anche Mein dummer Hund (trad. fantesca: Il mio cane Stupido), detto anche Salavujo, detto anche Pusciulucatapitipiscilipotocosciacatacotolone, detto anche Testaminchia, detto anche Roiter, detto anche Herr Selvaggini Pericolosini, detto anche il-dio-che-viene-dal-gelo, detto anche (dai maligni) Missgeburt, compie anni due, e trotta sicuro verso il futuro.

sedicesimi da tagliare

Posted in oreilles trouvées sur les prés on gennaio 3, 2008 by Simone Aglan-Buttazzi

L’editore ci tiene a segnalare che questo "racconto di fate per adulti" è una finzione fantasmatica che rischia di di urtare alcune sensibilità. Visto che l’opera non è stata tagliata in sede tipografica, è preferibile, per aprirla, che usiate uno strumento affilato piuttosto che il dito.

Alain Robbe-Grillet è un grande vecchio della cultura (radical chic?) d’Oltralpe. Negli anni ’50, a partire da Les gommes (1953), rappresentò la grande novità sugli scaffali delle librerie, con le sue narrazioni schiacciate sulla superficie degli oggetti, meticolose e disumanizzate. Il nouveau roman. Un titolo per tutti, splendido: La jalousie, Editions de Minuit, 1957. Quattro anni più tardi scrisse insieme ad Alain Resnais L’année dernière à Marienbad, racconto cerebrale, ossessivo, chiuso in interni sontuosi e labirintici e in un tempo cortocircuitato, coatto a ripetersi. Senza un film come Marienbad, Peter Greenaway non avrebbe mai girato un fotogramma. All’indomani del successo del film di Resnais, Robbe-Grillet tentò a sua volta la carta del cinema nei doppi panni di regista e sceneggiatore. L’Immortelle (1963), Trans-Europ-Express (1966), L’homme qui ment (1968), L’Eden et après (1971), Glissements progressifs du plaisir (1974), Le Jeu avec le feu (1975) sono film gelidi e "costruiti", con un’attenzione inedita al suono e al bruitage – disturbi, intermittenze, primi piani uditivi apparentemente immotivati – e uno spostamento progressivo verso un cinema porno che Robbe-Grillet non ha mai avuto il coraggio di sposare. Un po’ come Visconti, fatto un mutatis mutandis delle pulsioni.

Dal 1961 in poi Robbe-Grillet non ha abbandonato la letteratura sebbene non sia stato più in grado di rinnovarsi, né di pubblicare storie prive di impalcature bene in vista. Ed ecco nell’autunno del 2007, cinquant’anni dopo La gelosia, un nuovo romanzo. Sentimentale, quindi erotico, fantasmatico, quindi al contempo rarefatto e carnale, che il furbo editore Fayard fa uscire con un escamotage in grado di far sbavare qualsiasi bibliofilo. Per leggerlo bisogna armarsi di tagliacarte. I maligni sostengono che conviene lasciarlo incellophanato, coi sedicesimi intatti e l’aurea feticista non intaccata da una lettura, malignano, destinata a deludere.